16 Dic, 2019

Le Terapie

16 Dic, 2019

COME AIUTARE IL CUORE

Il medico, sospettando che Lei abbia una malattia coronarica o che la Sua malattia già diagnostica si stia
aggravando, potrebbe averLe consigliato alcuni esami e trattamenti particolari, detti interventi diemodinamica. La malattia coronarica consiste in un restringimento dei vasi sanguigni che portano il sangue al cuore e gli interventi di emodinamica permettono sia di diagnosticarla in modo accurato che di porvi rimedio, migliorando le condizioni di salute del cuore. Qui di seguito alcune informazioni su questi importanti trattamenti “salvacuore”.

I SINTOMI
La malattia delle arterie coronarie può causare angina, sensazione di oppressione, costrizione o dolore al petto, al braccio, al collo, alla schiena o alla mascella. Se trascurata, la malattia delle arterie può portare all’infarto.
Esso può manifestarsi con uno o più dei seguenti sintomi:
– angina
– difficoltà respiratorie
– sudorazione
– debolezza o capogiri

LA DIAGNOSI E IL TRATTAMENTO
Gli interventi sulle arterie coronarie vengono eseguiti in una stanza speciale detta sala di emodinamica,attrezzata con tutte le apparecchiature necessarie. Durante l’intervento un tubicino lungo e flessibile, chiamato catetere, viene inserito in un vaso sanguigno e fatto avanzare delicatamente fino al cuore. Il medico emodinamista può così diagnosticare con esattezza la malattia delle arterie e può anche usare il catetere per curarla alleviandone i sintomi. Prenderemo in considerazione tre dei possibili trattamenti:
– il cateterismo cardiaco
– l’angioplastica
– l’impianto di stent

LA MALATTIA DELLE ARTERIE CORONARIE
Si verifica quando le arterie che forniscono il sangue al cuore si restringono o si ostruiscono,impedendo al cuore di ricevere la quantità di sangue ricco di ossigeno necessaria per mantenersi sano.
La malattia delle arterie coronarie è causata dall’aterosclerosi: essa si verifica quando la placca (una sostanza grassa) si accumula nella parete di un’arteria, ostacolando il flusso sanguigno verso il muscolo cardiaco. Man mano che la placca si forma, l’arteria si restringe sempre di più e può ostruirsi anche completamente. In questo modo il cuore non può più ricevere tutto il sangue ricco di ossigeno di cui ha bisogno, soprattutto quando ne richiede una quantità superiore, ad esempio durante l’attività fisica.

PREPARARSI ALL’INTERVENTO
Il medico Le illustrerà i rischi e i benefici degli interventi sulle arterie coronarie. Riceverà anche istruzioni su come prepararsi. Con il cateterismo cardiaco si può fare una diagnosi accurata della malattia coronarica.
Esistono poi differenti trattamenti che curano, anche se non in modo definitivo, la malattia.
Comprendere i rischi
I rischi degli interventi alle arterie coronarie sono abbastanza ridotti e spesso vengono superati dai vantaggi che ne derivano. I rischi possono consistere in:
– emorragia o formazione di coaguli
– perforazione della parete dell’arteria
– reazione allergica al liquido di contrasto utilizzato durante l’intervento
– battito cardiaco irregolare (aritmia)
– infarto, ictus o morte (molto rara)

Prima dell’intervento
Almeno una settimana prima dell’intervento, riferisca al medico se:
– ha problemi di emorragia
– è allergico allo iodio o ai frutti di mare
– sta assumendo farmaci anticoagulanti, aspirina o farmaci per il diabete

Il giorno dell’intervento
Subito dopo il ricovero in ospedale verrà sottoposto ad alcuni esami quali l’elettrocardiogramma. Un’infermiera preparerà la zona in cui verrà inserito il catetere. Le verrà applicata una flebo endovenosa nel braccio o nella mano attraverso la quale Le verranno somministrati alcuni farmaci per rilassarLa.

IL CATETERISMO CARDIACO

Durante il cateterismo cardiaco, un catetere (tubo sottile e flessibile) viene introdotto in un vaso sanguigno e avanzato delicatamente fino al cuore per eseguire alcuni esami utili a evidenziare un’eventuale malattia delle arterie coronarie.
Durante l’intervento Le  verrà iniettato un anestetico locale per rendere insensibile la zona di introduzione del catetere.
Durante il trattamento Lei resterà sveglio.
Una  cannula-introduttore (un tubicino) viene inserita nel vaso  sanguigno  e in quel  momento Lei potrebbe avvertire una sensazione di leggera pressione che dovrebbe scomparire presto.
Il catetere viene  introdotto, attraverso la  cannula-introduttore,  nel vaso  sanguigno  e  sospinto delicatamente verso il cuore dal medico, che ne controlla l’avanzamento su un monitor. Mentre il catetere procede attraverso il vaso sanguigno, Lei non dovrebbe avvertire alcun dolore.
Un liquido di contrasto sensibile ai raggi X viene iniettato attraverso il catetere. In questo modo il medico può
osservare l’arteria su un angiogramma (una radiografia).
Le potrebbe essere richiesto di trattenere il fiato e potrebbe percepire una vampata di calore lungo tutto il corpo per circa 10 secondi. Dopo l’iniezione, potrebbe esserLe chiesto di tossire.
Il catetere potrebbe venir introdotto in un’arteria del braccio, del polso o dell’inguine, nelle cosiddette zone di introduzione.

 

Testi redatti da
Dott. Silvio Klugmann, cardiologo, direttore dipartimento cardiocircolatorio “De Gasperis”
Ospedale Niguarda di Milano
Dott. Stefano Tondi, cardiologo emodinamista, responsabile Unità Emodinamica Cardiologia
Nuovo Ospedale S.Agostino-Estense di Modena

L'ANGIOPLASTICA

Questa  metodica migliora il flusso sanguigno al cuore.  Un catetere  con un palloncino viene  introdotto nell’arteria ostruita.
Il palloncino viene  poi espanso  in  modo  da dilatare  il  vaso  sanguigno. Alla  fine del trattamento, il catetere viene rimosso.
Durante il trattamento dapprima viene eseguito  il cateterismo cardiaco.  Poi un  catetere  chiamato catetere guida viene introdotto nell’arteria ostruita.
Un filo guida viene  quindi inserito attraverso il catetere guida  e  sospinto  fino al punto di ostruzione dell’arteria.
Il medico osserva il percorso del filo guida su un monitor.
Un catetere  con  un palloncino in  punta viene fatto  avanzare  lungo il filo guida fino a  posizionarlo  in corrispondenza del punto di ostruzione dell’arteria. Il palloncino viene gonfiato e sgonfiato ripetutamente in modo da comprimere la placca contro la parete dell’arteria. Quando viene gonfiato, Lei potrebbe avvertire dolore al petto.
Se ciò dovesse accadere, avverta il medico. Il palloncino viene sgonfiato: a questo punto potrebbe essere applicato uno stent.
I cateteri e il filo guida vengono rimossi.
Ora che la placca è compressa contro le pareti dell’arteria, il flusso sanguigno verso il muscolo cardiaco è maggiore.
L’angioplastica coronarica nell’infarto miocardico acuto
In questi ultimi anni si è assistito ad una costante espansione  della  terapia  interventistica  coronarica (angioplastica coronarica con impianto di endoprotesi chiamata stent), anche se in misura non perfettamente omogenea nelle varie regioni italiane.
In particolare lo sforzo organizzativo più importante si è esplicato nella terapia dell’infarto miocardico acuto, nella sua espressione caratterizzata da una presentazione con elettrocardiogramma con tratto ST sopraslivellato.
In questa  varietà  di infarto miocardico è presente nella  stragrande maggioranza dei casi una  occlusione trombotica acuta di una coronaria principale,  cioè è  presente un coagulo di sangue che si è formato velocemente sopra una placca ateriosclerotica coronarica.
Gli studi di questi ultimi anni hanno dimostrato la superiorità della terapia con angioplastica rispetto alla sola terapia farmacologica, costituita dalla trombolisi.
Che  cosa  è  la trombolisi?
Si tratta della somministrazione  di un farmaco che  ha  la funzione di sciogliere il coagulo; in realtà la sua efficacia è pari al 50-60%, al prezzo di un rischio di sanguinamenti anche molto seri.
Il vantaggio  potenziale  della  trombolisi consiste nel fatto  che può  essere somministrata in  tutti i presidi ospedalieri, anche nei più remoti.
La sua efficacia decresce con il passare delle ore, diventando sostanzialmente nulla dopo le 12 ore dall’inizio dei sintomi.
L’ angioplastica coronarica, al  contrario,  per essere realmente  utile deve essere effettuata da  un  team  di cardiologi interventisti esperti,  che esegue regolarmente questa  procedura  da molto tempo;  necessita  di una organizzazione ferrea, con procedure di accesso e di esecuzione assolutamente standardizzate.
Tale organizzazione può esistere solo in Ospedali di riferimento con un adeguato bacino di utenza, stimabile attorno a circa 350.000 abitanti, e dotati di una sala e di un team di emodinamica che esegua angioplastiche primarie ed elettive in numero adeguato.
Il vantaggio dell’angioplastica coronarica rispetto alla trombolisi risiede nella sua efficacia (superiore al 90% in Centri ben addestrati), nella sua capacità di esercitare la sua azione positiva in un periodo di ore più ampio.
Deve però  esser chiaro che anche con  questa terapia il  problema dei  tempi è fondamentale: più precocemente il  paziente arriva all’ Ospedale di  riferimento, migliore è il risultato in termini di sopravvivenza e di recupero funzionale.
Come funziona l’angioplastica coronarica?
Essa ha senso solo nell’ambito di una organizzazione cosiddetta H24 (cioè deve essere presente un gruppo di emodinamisti e di infermieri che sono reperibili tutti i giorni dell’anno, per tutte le 24 ore), al fine di garantire la pari opportunità di trattamento a tutti i cittadini di quel territorio.
Essa ha senso se è presente una rete, cioè un network di ospedali, di pronti soccorsi e di ambulanze attrezzate che debbono  convergere velocemente  verso il Centro di riferimento, una volta  fatta  una corretta diagnositempestiva mediante elettrocardiogramma.
In alcune realtà si sta diffondendo la trasmissione via telefono dell’ECG, non fine a se stessa, ma solamente in funzione di una corretta e precoce diagnosi di infarto miocardico.
Il paziente trasportato tempestivamente nella sala di Emodinamica, viene sottoposto a coronarografia d’urgenza e,  una  volta  visualizzata  la  coronaria responsabile dell’infarto, questa viene  ricanalizzata  con l’angioplastica coronarica e l’impianto di uno stent.
Dopo l’angioplastica coronarica, che risulta essere efficace in oltre il 90 % dei casi in Centri ben addestrati, il paziente viene ricoverato in Unità Coronarica e molto spesso la degenza è breve e non complicata.
Tra le complicanze post-procedurali che possono allungare i tempi di degenza e in qualche caso vanificare lo sforzo del team  di emodinamica,  citiamo  quelle legate  al sanguinamento dalla  sede  di  puntura del vaso arterioso:  quando  questo  è  l’arteria  femorale,  le  complicanze  (ematomi,  pseudo-aneurismi,  emorragia retroperitoneale) possono raggiungere anche il 5-10% e si è visto che in tal caso la degenza si allunga, con maggiori possibilità di ritardare il recupero del paziente.
Un altro tipo di sanguinamento è quello legato all’uso dei farmaci antiaggreganti e anticoagulanti, a carico del
tubo gastro-enterico (ulcera gastro-duodenale non nota precedentemente, sanguinamento dall’intestino ecc.): in tal caso non è infrequente la necessità di trasfusioni di sangue.
Un’altra  fonte  temibile  di sanguinamento è il cervello,  a  causa di una  rottura di un vaso sanguigno favorita dall’eccesso di terapie utilizzate in questa patologie (anticoagulanti, antiaggreganti ecc.).
In realtà l’ emorragia cerebrale è un evento molto raro in corso di angioplastica coronarica ed anche questo può essere un elemento a  favore di questa procedura  soprattutto nelle categorie di pazienti più fragili (citiamo in particolare gli anziani).
In pratica, nel confronto tra trombolisi e angioplastica coronarica primaria, quest’ultima esce vincitrice poichè la temibile  complicanza  dell’emorragia cerebrale presenta  un’incidenza  pressochè  nulla e, soprattutto con l’utilizzo dell’approccio radiale, le complicanze emorragiche vengono ridotte del 50%.
Inoltre ricordiamo che, in termini di efficacia, la trombolisi non supera il 50% di ricanalizzazione del vaso, mentre l’angioplastica supera il 90%.
In conclusione,  la terapia interventistica dell’infarto  miocardico acuto mediante  angioplastica coronarica  ed impianto elettivo di stent ha dimostrato di essere sicuramente efficace sia in termini di mortalità ospedaliera sia in termini di  recupero funzionale.
Il suo unico limite risiede nella  assoluta  necessità di  una organizzazione  ferrea,  che non può  e  non  deve escludere da  questo  approccio  terapeutico nessun paziente e  deve  pertanto  essere gestita  da un gruppo multidisciplinare integrato (rete sul territorio, 118, trasmissione dell’ECG via telefono, possibile accesso diretto dal territorio alla sala di emodinamica; sala di emodinamica con elevato volume di attività e adeguati livelli di performance).
Come in tutte le cose difficili, anche l’esecuzione di questa terapia richiede una elevata motivazione da parte di tutti gli operatori (medici e paramedici), consapevoli dell’importanza del lavoro che svolgono e della ricaduta che esso potrà avere sulla vita del paziente.

 

Testi redatti da
Dott. Silvio Klugmann, cardiologo, direttore dipartimento cardiocircolatorio “De Gasperis”
Ospedale Niguarda di Milano
Dott. Stefano Tondi, cardiologo emodinamista, responsabile Unità Emodinamica Cardiologia
Nuovo Ospedale S.Agostino-Estense di Modena

L'APPLICAZIONE DI STENT

L’APPLICAZIONE DI STENT

Lo stent endocoronarico è una piccola rete metallica (fatta prevalentemente di acciaio, in altri casi di leghe metalliche tipo cromo-cobalto) che viene applicata dentro l’arteria coronarica e lasciata sul luogo, in modo da prevenire una nuova ostruzione del vaso.
Durante il trattamento
Dapprima viene eseguito il cateterismo cardiaco,  quindi viene eseguita  l’angioplastica  per poi continuare nel seguente modo:
– lo stent viene posizionato su un catetere con un palloncino in punta. Il catetere con lo stent viene fatto avanzare lungo il filo guida fino al punto dell’arteria precedentemente trattato con l’angioplastica.
– Il palloncino viene gonfiato in modo da espandere lo stent e mantenere così la placca compressa contro le pareti dell’arteria. Quando lo stent è completamente espanso, tutti i cateteri e il filo guida vengono rimossi.
– Lo  stent rimane posizionato all’interno dell’arteria in modo  da  prevenire una  nuova  ostruzione (restenosi).
La restenosi (cioè la tendenza del vaso dilatato a richiudersi nuovamente) rappresenta uno degli ostacoli contro i quali il cardiologo  interventista ed il  cardiologo clinico devono  combattere;  le percentuali  di restenosi dopo applicazione  di stent  metallico oscillano  dal 20  al  40%,  e  sono più  elevate man mano che si trattano  vasi coronarici più lunghi e di diametro minore.
Al fine di combattere  questa  risposta  (la restenosi può essere  considerata  una “tendenza  riparativa” un po’eccessiva in risposta  ad  un  trauma indotto dall’impianto stesso dello stent) sono stati introdotti in commercio degli stent particolari: i cosiddetti stent medicati, a rilascio di farmaco.
Cosa sono gli stent medicati?
Sono degli stent  che hanno  al loro  interno  una sostanza  detto  polimero che ha la funzione  di  rilasciare lentamente (nel giro di settimane e mesi) una sostanza farmacologica che inibisce la risposta infiammatoria della parete  coronarica.  I  nomi  di queste sostanze sono:  sirolimus,  everolimus,  taclipaxel,  zoratolimus ecc.;  la fondamentale azione di queste sostanze  è legata alla capacità di ridurre  la risposta “riparativa” del vaso;  in sostanza riducono significativamente la restenosi.
Il lato meno positivo di questi stent è costituito dal costo (che è maggiore, circa doppio-triplo, rispetto ai normali stent metallici) e dal potenziale maggiore rischio di trombosi dello stent (in quanto viene ritardata, con questi stent, la normale endotelizzazione, cioè la ” pavimentazione” che permette al sangue di scorrere all’interno dello stent senza entrare in contatto con le maglie metalliche di questa endoprotesi).
IMPORTANTE!!
Nel caso di impianto di stent medicato si raccomanda una terapia farmacologica molto rigorosa: la cosiddetta terapia antiaggregante piastrinica doppia (Aspirina + Plavix) per 1 anno, dopodichè si potrà continuare con la semplice Aspirina.
Nel caso di stent metallico semplice la doppia terapia antiaggregante piastrinica potrà essere consigliata per 1-2 mesi
.

DOPO IL TRATTAMENTO
Lei farà ritorno all’Unità coronarica o in una speciale stanza di degenza.
Dovrà rimanere sdraiato per alcune ore.
A seconda del tipo di trattamento cui è stato sottoposto, potrà fare ritorno a casa il giorno stesso o passerà la notte in ospedale. Prima di lasciare l’ospedale, il medico Le spiegherà i risultati del trattamento.
La rimozione della cannula-introduttore
La  cannula-introduttore  potrebbe  essere lasciata  in  sede per alcune ore in modo da prevenire un’emorragia.
Quindi verrà rimossa. La zona di introduzione viene tenuta chiusa o compressa manualmente per almeno 15 minuti al fine di prevenire  il rischio di emorragia.  A volte vengono  applicati  speciali dispositivi  che  da  soli permettono la chiusura delle arterie o la loro compressione.
L’approccio vascolare per via radiale
In questi ultimi anni molti  Centri  di Emodinamica hanno acquisito  competenza  sull’utilizzo  della  via di introduzione del catetere che viene utilizzato per eseguire non solo la coronarografia, ma anche la procedura interventistica di angioplastica.
Normalmente la via di accesso più praticata è l’arteria femorale, posta nell’inguine; si tratta di un grosso vaso, la cui puntura è eseguibile facilmente ma che, in presenza di farmaci anticoagulanti in circolo (come accade ad esempio  in corso  di infarto  miocardico  acuto) può provocare sanguinamenti anche gravi,  con  formazione di ematomi, pseudoaneurismi, emorragie che richiedono trasfusioni.
L’ utilizzo di una via arteriosa di dimensioni minori, come l’arteria del polso (arteria radiale), presenta maggiori difficoltà  tecniche, ma  ha il vantaggio pratico di non esporre a  complicanze di tipo emorragico, in  quanto  la rimozione della cannula da questa arteria di piccole dimensioni è agevole anche in persone obese (a differenza di quello che succede con l’approccio femorale ).
In sintesi, anche la scelta della via di introduzione vascolare come la via transradiale e l’utilizzo di cateteri di minori dimensioni possono condizionare una  sempre  migliore  prognosi per i pazienti,  che  hanno  inoltre  una percezione di “minore invasività”.
Tutto ciò,  quando è  accompagnato da  una  procedura  eseguita in  modo perfetto,  consente  un recupero funzionale  più precoce,  rendendo il paziente psicologicamente pronto  a riprendere  la sua  normale  vita di relazione.

I controlli
Un’infermiera Le misurerà il polso e la pressione sanguigna. Controllerà inoltre che nella zona di introduzione non ci sia emorragia. Una flebo endovenosa potrebbe inoltre continuare a fornirLe liquidi e farmaci per alcune ore.
Riferisca all’infermiera se:
– avverte dolore al petto o al punto di introduzione
– il braccio o la gamba più vicini alla zona di introduzione diventano intorpiditi o freddi
– avverte una sensazione di calore o umidità intorno alla zona di introduzione (segnale di un’eventuale emorragia)
– nota gonfiore vicino alla zona di introduzione

La convalescenza a casa
Il medico Le spiegherà il decorso della convalescenza e Le darà indicazioni sulle visite di controllo. Si assicuri che qualcuno possa riaccompagnarLa a casa quando sarà dimesso dall’ospedale. Una volta a casa, segua tutte le istruzioni che Le sono state fornite e si informi sui problemi da tenere sotto controllo.
Il decorso della convalescenza
Un grumo delle dimensioni di un’oliva potrebbe formarsi sotto la pelle nella zona di introduzione. Potrebbe anche comparire un livido. Queste sono reazioni normali e dovrebbero scomparire da sole nel giro di poche settimane.
In genere è possibile tornare alla vita attiva uno o due giorni dopo le dimissioni dall’ospedale. Probabilmente Lei potrà tornare al lavoro nel  giro di  2  settimane. All’inizio cerchi di non  strafare.  Consulti il medico prima di intraprendere attività fisica o svolgere un lavoro pesante.

Le visite di controllo
Si rechi  regolarmente  dal medico per le  visite  di controllo:  queste  visite aiutano il medico a valutare le Sue condizioni. In alcuni casi, infatti, l’arteria trattata potrebbe ostruirsi di nuovo; se ciò accade, solitamente succede durante i sei mesi che seguono l’intervento. In questo periodo il medico potrebbe consigliare alcuni esami per verificare se l’arteria è ancora aperta.
Chiami subito il medico se:
– ha dolore, gonfiore, rossore, emorragia o perdita di pus nella zona di introduzione
– avverte angina
– avverte un forte dolore o una sensazione di freddo o nota un colore bluastro al braccio o alla gamba in cui è stato introdotto il catetere
– nota sangue nell’urina o feci nerastre
– ha una qualsiasi emorragia, nel casoLei stia assumendo dei farmaci antiaggreganti piastrinici

 

Testi redatti da
Dott. Silvio Klugmann, cardiologo, direttore dipartimento cardiocircolatorio “De Gasperis”
Ospedale Niguarda di Milano
Dott. Stefano Tondi, cardiologo emodinamista, responsabile Unità Emodinamica Cardiologia
Nuovo Ospedale S.Agostino-Estense di Modena

LA RIABILITAZIONE CARDIACA

Il medico potrebbe proporLe un programma di riabilitazione cardiaca che La aiuti a fare alcuni cambiamenti per migliorare la salute del Suo cuore e ridurre il rischio di futuri problemi cardiaci.
Il programma di riabilitazione potrebbe iniziare quando Lei si trova ancora in ospedale. Dopo le dimissioni, Lei potrebbe recarsi nuovamente in ospedale per continuare il programma, o potrebbe rivolgersi ad un altro centro.Durante questa fase, un esperto La aiuterà ad individuare il programma adatto al Suo cuore. Esso può includere assistenza, corsi e gruppi di sostegno che La aiutino a
– fare attività fisica
– abbassare la pressione sanguigna
– smettere di fumare
– tenere sotto controllo il diabete
– perdere il peso in eccesso
– ridurre lo stress
– abbassare il livello di colesterolo
– accettare i cambiamenti

Testi redatti da
Dott. Silvio Klugmann, cardiologo, direttore dipartimento cardiocircolatorio “De Gasperis”
Ospedale Niguarda di Milano
Dott. Stefano Tondi, cardiologo emodinamista, responsabile Unità Emodinamica Cardiologia
Nuovo Ospedale S.Agostino-Estense di Modena

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