Per elettrocardiogramma (ECG) da sforzo si intende la registrazione di un elettrocardiogramma durante lo svolgimento di un’attività fisica.
Attualmente l’attività fisica è effettuata su una cyclette o su un tappeto ruotante.
Lo sforzo è progressivo, aumentando costantemente il carico di lavoro attraverso l’aumento della resistenza opposta dai pedali o dal tappeto.
Durante l’esame si tiene sotto controllo la frequenza cardiaca attraverso un monitor e viene rilevata, durante i vari carichi di lavoro, la pressione arteriosa.
L’ ECG sotto sforzo serve a diagnosticare una sospetta cardiopatia coronarica, a valutare l’evoluzione di uninfarto miocardico nei tempi successivi all’episodio acuto, a valutare i risultati di una procedura interventistica di angioplastica coronarica e lo studio della capacità funzionale del sistema cardiovascolare nello scompenso cardiaco cronico stabilizzato.
Durante l’esecuzione dell’esame si presta molta attenzione ai sintomi che il paziente può avvertire (esempio dolore toracico) e al loro rapporto con le eventuali variazioni dell’elettrocardiogramma.
La prova dura circa 30-45 minuti e viene praticata in laboratori attrezzati a fronteggiare eventuali e possibili complicanze che potrebbero manifestarsi improvvisamente durante lo sforzo.
E’ una tecnica diagnostica sicura e utile.
Prima di effettuare il test è consigliabile:
- non mangiare (anche se è possibile effettuare uno spuntino 2-3 ore prima, tipo qualche fetta biscottata con un velo di marmellata e tè zuccherato o una mela);
- non fumare da almeno 2 ore prima;
- astenersi dal caffè e non bere alcolici o superalcolici ;
- non compiere grossi sforzi;
- presentarsi muniti di abbigliamento idoneo con tuta leggera , scarpe da ginnastica e asciugamano;
- chiedere al proprio medico o cardiologo da quali farmaci astenersi e per quanto temp
IL CATETERISMO CARDIACO
Durante il cateterismo cardiaco, un catetere (tubo sottile e flessibile) viene introdotto in un vaso sanguigno e avanzato delicatamente fino al cuore per eseguire alcuni esami utili a evidenziare un’eventuale malattia delle arterie coronarie.
Durante l’intervento Le verrà iniettato un anestetico locale per rendere insensibile la zona di introduzione del catetere.
Durante il trattamento Lei resterà sveglio.
Una cannula-introduttore (un tubicino) viene inserita nel vaso sanguigno e in quel momento Lei potrebbe avvertire una sensazione di leggera pressione che dovrebbe scomparire presto.
Il catetere viene introdotto, attraverso la cannula-introduttore, nel vaso sanguigno e sospinto delicatamente verso il cuore dal medico, che ne controlla l’avanzamento su un monitor. Mentre il catetere procede attraverso il vaso sanguigno, Lei non dovrebbe avvertire alcun dolore.
Un liquido di contrasto sensibile ai raggi X viene iniettato attraverso il catetere. In questo modo il medico può
osservare l’arteria su un angiogramma (una radiografia).
Le potrebbe essere richiesto di trattenere il fiato e potrebbe percepire una vampata di calore lungo tutto il corpo per circa 10 secondi. Dopo l’iniezione, potrebbe esserLe chiesto di tossire.
Il catetere potrebbe venir introdotto in un’arteria del braccio, del polso o dell’inguine, nelle cosiddette zone di introduzione.
Testi redatti da
Dott. Silvio Klugmann, cardiologo, direttore dipartimento cardiocircolatorio “De Gasperis”
Ospedale Niguarda di Milano
Dott. Stefano Tondi, cardiologo emodinamista, responsabile Unità Emodinamica Cardiologia
Nuovo Ospedale S.Agostino-Estense di Modena
L'ANGIOPLASTICA
Questa metodica migliora il flusso sanguigno al cuore. Un catetere con un palloncino viene introdotto nell’arteria ostruita.
Il palloncino viene poi espanso in modo da dilatare il vaso sanguigno. Alla fine del trattamento, il catetere viene rimosso.
Durante il trattamento dapprima viene eseguito il cateterismo cardiaco. Poi un catetere chiamato catetere guida viene introdotto nell’arteria ostruita.
Un filo guida viene quindi inserito attraverso il catetere guida e sospinto fino al punto di ostruzione dell’arteria.
Il medico osserva il percorso del filo guida su un monitor.
Un catetere con un palloncino in punta viene fatto avanzare lungo il filo guida fino a posizionarlo in corrispondenza del punto di ostruzione dell’arteria. Il palloncino viene gonfiato e sgonfiato ripetutamente in modo da comprimere la placca contro la parete dell’arteria. Quando viene gonfiato, Lei potrebbe avvertire dolore al petto.
Se ciò dovesse accadere, avverta il medico. Il palloncino viene sgonfiato: a questo punto potrebbe essere applicato uno stent.
I cateteri e il filo guida vengono rimossi.
Ora che la placca è compressa contro le pareti dell’arteria, il flusso sanguigno verso il muscolo cardiaco è maggiore.
L’angioplastica coronarica nell’infarto miocardico acuto
In questi ultimi anni si è assistito ad una costante espansione della terapia interventistica coronarica (angioplastica coronarica con impianto di endoprotesi chiamata stent), anche se in misura non perfettamente omogenea nelle varie regioni italiane.
In particolare lo sforzo organizzativo più importante si è esplicato nella terapia dell’infarto miocardico acuto, nella sua espressione caratterizzata da una presentazione con elettrocardiogramma con tratto ST sopraslivellato.
In questa varietà di infarto miocardico è presente nella stragrande maggioranza dei casi una occlusione trombotica acuta di una coronaria principale, cioè è presente un coagulo di sangue che si è formato velocemente sopra una placca ateriosclerotica coronarica.
Gli studi di questi ultimi anni hanno dimostrato la superiorità della terapia con angioplastica rispetto alla sola terapia farmacologica, costituita dalla trombolisi.
Che cosa è la trombolisi?
Si tratta della somministrazione di un farmaco che ha la funzione di sciogliere il coagulo; in realtà la sua efficacia è pari al 50-60%, al prezzo di un rischio di sanguinamenti anche molto seri.
Il vantaggio potenziale della trombolisi consiste nel fatto che può essere somministrata in tutti i presidi ospedalieri, anche nei più remoti.
La sua efficacia decresce con il passare delle ore, diventando sostanzialmente nulla dopo le 12 ore dall’inizio dei sintomi.
L’ angioplastica coronarica, al contrario, per essere realmente utile deve essere effettuata da un team di cardiologi interventisti esperti, che esegue regolarmente questa procedura da molto tempo; necessita di una organizzazione ferrea, con procedure di accesso e di esecuzione assolutamente standardizzate.
Tale organizzazione può esistere solo in Ospedali di riferimento con un adeguato bacino di utenza, stimabile attorno a circa 350.000 abitanti, e dotati di una sala e di un team di emodinamica che esegua angioplastiche primarie ed elettive in numero adeguato.
Il vantaggio dell’angioplastica coronarica rispetto alla trombolisi risiede nella sua efficacia (superiore al 90% in Centri ben addestrati), nella sua capacità di esercitare la sua azione positiva in un periodo di ore più ampio.
Deve però esser chiaro che anche con questa terapia il problema dei tempi è fondamentale: più precocemente il paziente arriva all’ Ospedale di riferimento, migliore è il risultato in termini di sopravvivenza e di recupero funzionale.
Come funziona l’angioplastica coronarica?
Essa ha senso solo nell’ambito di una organizzazione cosiddetta H24 (cioè deve essere presente un gruppo di emodinamisti e di infermieri che sono reperibili tutti i giorni dell’anno, per tutte le 24 ore), al fine di garantire la pari opportunità di trattamento a tutti i cittadini di quel territorio.
Essa ha senso se è presente una rete, cioè un network di ospedali, di pronti soccorsi e di ambulanze attrezzate che debbono convergere velocemente verso il Centro di riferimento, una volta fatta una corretta diagnositempestiva mediante elettrocardiogramma.
In alcune realtà si sta diffondendo la trasmissione via telefono dell’ECG, non fine a se stessa, ma solamente in funzione di una corretta e precoce diagnosi di infarto miocardico.
Il paziente trasportato tempestivamente nella sala di Emodinamica, viene sottoposto a coronarografia d’urgenza e, una volta visualizzata la coronaria responsabile dell’infarto, questa viene ricanalizzata con l’angioplastica coronarica e l’impianto di uno stent.
Dopo l’angioplastica coronarica, che risulta essere efficace in oltre il 90 % dei casi in Centri ben addestrati, il paziente viene ricoverato in Unità Coronarica e molto spesso la degenza è breve e non complicata.
Tra le complicanze post-procedurali che possono allungare i tempi di degenza e in qualche caso vanificare lo sforzo del team di emodinamica, citiamo quelle legate al sanguinamento dalla sede di puntura del vaso arterioso: quando questo è l’arteria femorale, le complicanze (ematomi, pseudo-aneurismi, emorragia retroperitoneale) possono raggiungere anche il 5-10% e si è visto che in tal caso la degenza si allunga, con maggiori possibilità di ritardare il recupero del paziente.
Un altro tipo di sanguinamento è quello legato all’uso dei farmaci antiaggreganti e anticoagulanti, a carico del
tubo gastro-enterico (ulcera gastro-duodenale non nota precedentemente, sanguinamento dall’intestino ecc.): in tal caso non è infrequente la necessità di trasfusioni di sangue.
Un’altra fonte temibile di sanguinamento è il cervello, a causa di una rottura di un vaso sanguigno favorita dall’eccesso di terapie utilizzate in questa patologie (anticoagulanti, antiaggreganti ecc.).
In realtà l’ emorragia cerebrale è un evento molto raro in corso di angioplastica coronarica ed anche questo può essere un elemento a favore di questa procedura soprattutto nelle categorie di pazienti più fragili (citiamo in particolare gli anziani).
In pratica, nel confronto tra trombolisi e angioplastica coronarica primaria, quest’ultima esce vincitrice poichè la temibile complicanza dell’emorragia cerebrale presenta un’incidenza pressochè nulla e, soprattutto con l’utilizzo dell’approccio radiale, le complicanze emorragiche vengono ridotte del 50%.
Inoltre ricordiamo che, in termini di efficacia, la trombolisi non supera il 50% di ricanalizzazione del vaso, mentre l’angioplastica supera il 90%.
In conclusione, la terapia interventistica dell’infarto miocardico acuto mediante angioplastica coronarica ed impianto elettivo di stent ha dimostrato di essere sicuramente efficace sia in termini di mortalità ospedaliera sia in termini di recupero funzionale.
Il suo unico limite risiede nella assoluta necessità di una organizzazione ferrea, che non può e non deve escludere da questo approccio terapeutico nessun paziente e deve pertanto essere gestita da un gruppo multidisciplinare integrato (rete sul territorio, 118, trasmissione dell’ECG via telefono, possibile accesso diretto dal territorio alla sala di emodinamica; sala di emodinamica con elevato volume di attività e adeguati livelli di performance).
Come in tutte le cose difficili, anche l’esecuzione di questa terapia richiede una elevata motivazione da parte di tutti gli operatori (medici e paramedici), consapevoli dell’importanza del lavoro che svolgono e della ricaduta che esso potrà avere sulla vita del paziente.
Testi redatti da
Dott. Silvio Klugmann, cardiologo, direttore dipartimento cardiocircolatorio “De Gasperis”
Ospedale Niguarda di Milano
Dott. Stefano Tondi, cardiologo emodinamista, responsabile Unità Emodinamica Cardiologia
Nuovo Ospedale S.Agostino-Estense di Modena
L'APPLICAZIONE DI STENT
L’APPLICAZIONE DI STENT
Lo stent endocoronarico è una piccola rete metallica (fatta prevalentemente di acciaio, in altri casi di leghe metalliche tipo cromo-cobalto) che viene applicata dentro l’arteria coronarica e lasciata sul luogo, in modo da prevenire una nuova ostruzione del vaso.
Durante il trattamento
Dapprima viene eseguito il cateterismo cardiaco, quindi viene eseguita l’angioplastica per poi continuare nel seguente modo:
– lo stent viene posizionato su un catetere con un palloncino in punta. Il catetere con lo stent viene fatto avanzare lungo il filo guida fino al punto dell’arteria precedentemente trattato con l’angioplastica.
– Il palloncino viene gonfiato in modo da espandere lo stent e mantenere così la placca compressa contro le pareti dell’arteria. Quando lo stent è completamente espanso, tutti i cateteri e il filo guida vengono rimossi.
– Lo stent rimane posizionato all’interno dell’arteria in modo da prevenire una nuova ostruzione (restenosi).
La restenosi (cioè la tendenza del vaso dilatato a richiudersi nuovamente) rappresenta uno degli ostacoli contro i quali il cardiologo interventista ed il cardiologo clinico devono combattere; le percentuali di restenosi dopo applicazione di stent metallico oscillano dal 20 al 40%, e sono più elevate man mano che si trattano vasi coronarici più lunghi e di diametro minore.
Al fine di combattere questa risposta (la restenosi può essere considerata una “tendenza riparativa” un po’eccessiva in risposta ad un trauma indotto dall’impianto stesso dello stent) sono stati introdotti in commercio degli stent particolari: i cosiddetti stent medicati, a rilascio di farmaco.
Cosa sono gli stent medicati?
Sono degli stent che hanno al loro interno una sostanza detto polimero che ha la funzione di rilasciare lentamente (nel giro di settimane e mesi) una sostanza farmacologica che inibisce la risposta infiammatoria della parete coronarica. I nomi di queste sostanze sono: sirolimus, everolimus, taclipaxel, zoratolimus ecc.; la fondamentale azione di queste sostanze è legata alla capacità di ridurre la risposta “riparativa” del vaso; in sostanza riducono significativamente la restenosi.
Il lato meno positivo di questi stent è costituito dal costo (che è maggiore, circa doppio-triplo, rispetto ai normali stent metallici) e dal potenziale maggiore rischio di trombosi dello stent (in quanto viene ritardata, con questi stent, la normale endotelizzazione, cioè la ” pavimentazione” che permette al sangue di scorrere all’interno dello stent senza entrare in contatto con le maglie metalliche di questa endoprotesi).
IMPORTANTE!!
Nel caso di impianto di stent medicato si raccomanda una terapia farmacologica molto rigorosa: la cosiddetta terapia antiaggregante piastrinica doppia (Aspirina + Plavix) per 1 anno, dopodichè si potrà continuare con la semplice Aspirina.
Nel caso di stent metallico semplice la doppia terapia antiaggregante piastrinica potrà essere consigliata per 1-2 mesi.
DOPO IL TRATTAMENTO
Lei farà ritorno all’Unità coronarica o in una speciale stanza di degenza.
Dovrà rimanere sdraiato per alcune ore.
A seconda del tipo di trattamento cui è stato sottoposto, potrà fare ritorno a casa il giorno stesso o passerà la notte in ospedale. Prima di lasciare l’ospedale, il medico Le spiegherà i risultati del trattamento.
La rimozione della cannula-introduttore
La cannula-introduttore potrebbe essere lasciata in sede per alcune ore in modo da prevenire un’emorragia.
Quindi verrà rimossa. La zona di introduzione viene tenuta chiusa o compressa manualmente per almeno 15 minuti al fine di prevenire il rischio di emorragia. A volte vengono applicati speciali dispositivi che da soli permettono la chiusura delle arterie o la loro compressione.
L’approccio vascolare per via radiale
In questi ultimi anni molti Centri di Emodinamica hanno acquisito competenza sull’utilizzo della via di introduzione del catetere che viene utilizzato per eseguire non solo la coronarografia, ma anche la procedura interventistica di angioplastica.
Normalmente la via di accesso più praticata è l’arteria femorale, posta nell’inguine; si tratta di un grosso vaso, la cui puntura è eseguibile facilmente ma che, in presenza di farmaci anticoagulanti in circolo (come accade ad esempio in corso di infarto miocardico acuto) può provocare sanguinamenti anche gravi, con formazione di ematomi, pseudoaneurismi, emorragie che richiedono trasfusioni.
L’ utilizzo di una via arteriosa di dimensioni minori, come l’arteria del polso (arteria radiale), presenta maggiori difficoltà tecniche, ma ha il vantaggio pratico di non esporre a complicanze di tipo emorragico, in quanto la rimozione della cannula da questa arteria di piccole dimensioni è agevole anche in persone obese (a differenza di quello che succede con l’approccio femorale ).
In sintesi, anche la scelta della via di introduzione vascolare come la via transradiale e l’utilizzo di cateteri di minori dimensioni possono condizionare una sempre migliore prognosi per i pazienti, che hanno inoltre una percezione di “minore invasività”.
Tutto ciò, quando è accompagnato da una procedura eseguita in modo perfetto, consente un recupero funzionale più precoce, rendendo il paziente psicologicamente pronto a riprendere la sua normale vita di relazione.
I controlli
Un’infermiera Le misurerà il polso e la pressione sanguigna. Controllerà inoltre che nella zona di introduzione non ci sia emorragia. Una flebo endovenosa potrebbe inoltre continuare a fornirLe liquidi e farmaci per alcune ore.
Riferisca all’infermiera se:
– avverte dolore al petto o al punto di introduzione
– il braccio o la gamba più vicini alla zona di introduzione diventano intorpiditi o freddi
– avverte una sensazione di calore o umidità intorno alla zona di introduzione (segnale di un’eventuale emorragia)
– nota gonfiore vicino alla zona di introduzione
La convalescenza a casa
Il medico Le spiegherà il decorso della convalescenza e Le darà indicazioni sulle visite di controllo. Si assicuri che qualcuno possa riaccompagnarLa a casa quando sarà dimesso dall’ospedale. Una volta a casa, segua tutte le istruzioni che Le sono state fornite e si informi sui problemi da tenere sotto controllo.
Il decorso della convalescenza
Un grumo delle dimensioni di un’oliva potrebbe formarsi sotto la pelle nella zona di introduzione. Potrebbe anche comparire un livido. Queste sono reazioni normali e dovrebbero scomparire da sole nel giro di poche settimane.
In genere è possibile tornare alla vita attiva uno o due giorni dopo le dimissioni dall’ospedale. Probabilmente Lei potrà tornare al lavoro nel giro di 2 settimane. All’inizio cerchi di non strafare. Consulti il medico prima di intraprendere attività fisica o svolgere un lavoro pesante.
Le visite di controllo
Si rechi regolarmente dal medico per le visite di controllo: queste visite aiutano il medico a valutare le Sue condizioni. In alcuni casi, infatti, l’arteria trattata potrebbe ostruirsi di nuovo; se ciò accade, solitamente succede durante i sei mesi che seguono l’intervento. In questo periodo il medico potrebbe consigliare alcuni esami per verificare se l’arteria è ancora aperta.
Chiami subito il medico se:
– ha dolore, gonfiore, rossore, emorragia o perdita di pus nella zona di introduzione
– avverte angina
– avverte un forte dolore o una sensazione di freddo o nota un colore bluastro al braccio o alla gamba in cui è stato introdotto il catetere
– nota sangue nell’urina o feci nerastre
– ha una qualsiasi emorragia, nel casoLei stia assumendo dei farmaci antiaggreganti piastrinici
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LA RIABILITAZIONE CARDIACA
Il medico potrebbe proporLe un programma di riabilitazione cardiaca che La aiuti a fare alcuni cambiamenti per migliorare la salute del Suo cuore e ridurre il rischio di futuri problemi cardiaci.
Il programma di riabilitazione potrebbe iniziare quando Lei si trova ancora in ospedale. Dopo le dimissioni, Lei potrebbe recarsi nuovamente in ospedale per continuare il programma, o potrebbe rivolgersi ad un altro centro.Durante questa fase, un esperto La aiuterà ad individuare il programma adatto al Suo cuore. Esso può includere assistenza, corsi e gruppi di sostegno che La aiutino a
– fare attività fisica
– abbassare la pressione sanguigna
– smettere di fumare
– tenere sotto controllo il diabete
– perdere il peso in eccesso
– ridurre lo stress
– abbassare il livello di colesterolo
– accettare i cambiamenti
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